Una selezione di fotografie che racconta la Lombardia attraverso il cibo, inteso come chiave di lettura del paesaggio e delle comunità che lo abitano: non solo nutrimento, ma memoria, identità e progetto per il futuro.

Un percorso che si conduce in Ucraina sulla scia di alcuni reportage e di un nucleo di fotografie dalla sezione Estero dell’Archivio Fotografico, fra 1900 e 1955

Un articolo del 1939 tratteggia i confini dell’Ucraina, fra geografia e storia
“Gli Ucraini, conosciuti fino a pochi anni addietro e prima della Grande Guerra con il nome di Piccoli Russi, Malo Russi, Ruteni, occupano con i loro gruppi etnografici principali la maggior parte delle Terre Nere, vaste zone meridionali della Pianura Sarmatica o russa con centro lungo il corso del medio Dniepr e con la città di Kiev per capitale storica; qui formano attualmente uno Stato che fa parte dell’URSS. I territori abitati prevalentemente da popolazioni ucraine non sono però limitati dai confini dell’attuale Repubblica Sovietica ma, compresa questa, si stendono sopra a una superficie che può venire valutata a 850.000 kmq.”
Con queste righe si apre, nel 1939, un articolo pubblicato sul numero di giugno della rivista mensile Vie del Mondo. Geografia, storia, confini e denominazioni si intrecciano e sovrappongono fin da queste prime righe, a registrare una geografia umana più complessa delle classificazioni.
Il popolo ucraino è descritto nell’articolo con minuzia di particolari, in un paragrafo che ripercorre la storia e le denominazioni susseguitesi di questa popolazione stanziata fin dal IX secolo intorno al medio e basso Dnepr, il fiume che attraversa Kiev con le sue acque intrise di simbolismi e significati epici che ancora oggi fanno dipanare fili drammatici di Storia.
Così l’articolo riassume: “Attraverso i secoli queste popolazioni, nella loro totalità o nelle loro frazioni, ebbero diversi nomi: Russi, Ruteni, Cosacchi, Circassi, Piccoli Russi, Ucraini ma costituiscono sempre lo stesso popolo con comuni caratteri etnici e somatici, differenti da quelli del russo moscovita. [..] La Russia Ucraina ha sviluppato la sua civiltà lungo la direttrice del bacino del Dnepr e perciò tende verso il Mar Nero, che è mare europeo; la Russia moscovita, strettamente legata al bacino del Volga, tende verso il Mar Caspio che è mare asiatico. Questo è un esempio tipico dell’influenza della geografia nella vita di due popoli vicini, uno inevitabilmente diretto verso l’Asia, l’altro verso l’Europa”
L’autonomia dalla Russia venne temporaneamente siglata con la proclamazione della Repubblica Ucraina, il 14 dicembre 1917; a partire dal 1922, però, l’U.R.S.S. (Ukrainska Radianka Sotsialistichna Respublika) divenne membro costitutivo della nascente Unione Sovietica – un capitolo di Storia più recente che, dall’articolo del Touring del 1939, ci traghetta agli avvenimenti più recenti, con l’annessione della Crimea nel 1954 e l’indipendenza dell’Ucraina dall’Unione Sovietica nel 1991, fino agli avvenimenti più recenti.
L’Ucraina dei Carpazi: gli hutsuli
Di questo popolo ucraino così minuziosamente descritto nell’articolo del 1939, localizzato principalmente lungo il Dnepr ma con presenze attestate anche in altre aree geografiche, fanno parte anche gli hutsuli.
Gruppo etnico-culturale ucraino, parlanti un dialetto della lingua ucraina, gli hutsuli fanno parte di quella minoranza di popolazione ucraina dislocata lontano da Kiev – più precisamente fra Carpazi, Romania, Slovacchia e Polonia. Alcune fotografie conservate in archivio immortalano bambini, donne e anziani hutsuli in posa di fronte all’obiettivo.
Un automobilista in Russia (passando per l’Ucraina)
Nel novembre del 1965, le pagine delle Vie del Mondo tornano a raccontare di Ucraina, questa volta con un reportage di Camillo Brambilla intitolato “Un automobilista in Russia”, che racconta di un suo viaggio da Smolensk a Mosca e da Kiev a Odessa.
“Entriamo in Ucraina. Oceani di granoturco e di girasoli”.
Dopo un passaggio a Karkhov e a Kiev, Brambilla punta con il suo compagno di viaggio verso Odessa, lungo una strada che non mancherà di riservare qualche sorpresa fra controlli della polizia e soste per il pranzo in stazioni di rifornimento.
Odessa si rivela agli occhi di Brambilla “avviluppata da una certa trasandatezza meridionale senza essere riscattata dal colore”. Lo colpiscono le strade con il fondo sconnesso, in parte riscattate dai viali alberati che portano linfa verde nella città.
Odessa
La città di Odessa è da sempre il principale porto dell’Ucraina, punto nevralgico per commerci e scambi.
Luogo di incontro tra civiltà orientale e occidentale, multiculturale per la sua stessa natura geografica, fu cuore pulsante dell’impero meridionale della zarina Caterina; a lei si deve il cambio di denominazione al femminile della città, battezzata Odesso alla fondazione, nel 1794, da Giuseppe De Ribas, nato a Napoli da un nobile spagnolo al servizio dei Borboni.
Il Teatro dell’Opera a Odessa
Dalla fondazione e nei decenni a seguire, la presenza italiana ad Odessa risultò stabile e consistente e contribuì in modo rilevante allo sviluppo e all’economia della città, tanto che l’italiano rimase per molto la lingua utilizzata per le attività economiche.
Molti i contributi italiani anche in campo architettonico; il Teatro dell’Opera è stato realizzato a inizio Ottocento su un progetto dell’architetto Giovanni Frapolli mentre si deve a Francesco Boffo il disegno della celebre Scalinata Potëmkin.
Nel Novecento, grandi attori teatrali come Tommaso Salvini, Ernesto Rossi ed Eleonora Duse contribuirono alla formazione dell’Opera, rendendo Odessa – di fatto – la città più europea dell’Impero Russo.
Un automobilista in Russia (passando per l’Ucraina)
“Grazie al celeberrimo film di Eisenstein, è questo il monumento più noto e più fotografato: numerosi turisti salgono e scendono i gradini che furono insanguinati dalla storica fucileria. In basso scattano gli obbiettivi. Una ragazza cade e si sloga una caviglia, che si gonfia a vista d’occhio. Per chi non vuole digerirsi i gradini in salita c’è, alla sinistra della scalinata, una funicolare.”
Così la penna di Brambilla in merito alla principale attrazione della città, resa celebre dal regista sovietico nel 1925.
Odessa, al tempo del viaggio di Camillo Brambilla e del suo accompagnatore Sasha, appare una città affollata e chiassosa, piena di turisti e con qualche limite per quel che riguarda l’offerta ricettiva, soprattutto per i viaggiatori indipendenti.
“Il nostro albergo è invaso da un gruppo di turisti cecoslovacchi. Per cenare, dobbiamo aspettare che abbiano finito loro. Il viaggiatore solitario in Russia gode di notevoli vantaggi rispetto agli intruppati in comitiva, ma soffre anche di alcuni svantaggi; uno di questi è la sua fragilità, la sua inconsistenza di fronte ai gruppi, che hanno la precedenza. [..]Odessa ha un’attrezzatura turistica insufficiente, soprattutto d’estate, quando il mare richiama le masse.”
La spiaggia dell’Arcadia stuzzica la penna di Brambilla proprio sotto questo aspetto.
“Taccia chi si lagna della folla che gremisce certe spiagge occidentali, anche di casa nostra. Qui l’acqua e la brevissima fetta di sabbia ribollono di corpi. [..] Chi vuole spogliarsi per fare il bagno entra in curiose cabine collettive, a rotazione, che sembrano grandi botti, da cui sporgono testa e gambe di chi sta dentro. [..] Ma c’è il problema delle navi che scaricano residui bituminosi. [..] Non voglio rischiare la patacca di bitume e rinuncio alla nuotata. Torniamo in città”.
Sarà l’ultimo stop ad Odessa prima della ripartenza per l’Italia.
Un servizio fotografico su Yalta di Boris Erwitt, padre del fotografo Elliott Erwitt
Fra le stampe conservate, anche un servizio fotografico su Yalta a firma Boris Erwitt, fotografo con base a New York. Situata sulla costa meridionale della penisola di Crimea, città sede della Conferenza del 1945 che decise gli assetti politici del mondo al termine della Seconda Guerra Mondiale, dal 1954 Yalta fece parte dell’Ucraina. Lo rimase fino al 2014, quando divenne parte della Federazione Russa, come tutta la Penisola di Crimea.
Il servizio fotografico, 20 scatti, è databile al 1955, nel “periodo ucraino” della città. Non risulta pubblicato sulle riviste edite dal Touring in quegli anni e negli anni a seguire; come sia giunto in Archivio rimane un elemento ancora da ricostruire, come il lavoro d’archivio spesso richiede – e qui sta il fascino di questa professione – di fare.
Una selezione di fotografie che racconta la Lombardia attraverso il cibo, inteso come chiave di lettura del paesaggio e delle comunità che lo abitano: non solo nutrimento, ma memoria, identità e progetto per il futuro.

Una selezione di fotografie per raccontare di un’Italia agricola, con le mani e l’identità ancorate saldamente nella terra

Una selezione di cartoline che, dall’inquadratura e soggetto classici, prendono le distanze. Per mettere a fuoco altri aspetti, che talvolta vanno poco d’accordo con il concetto di “bello”

Fra tradizione e innovazione, fra arte e bellezze storico-artistiche e inchieste che raccontano di lotte e miseria, un percorso tra fotografie, riviste e pubblicazioni che racconta come la Sardegna sia diventata, nel secondo dopoguerra, una delle destinazioni turistiche più amate
