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4 Febbraio 2021
Quando cominciò la sua collaborazione con il Touring, nel 1956, Pepi Merisio era ancora un fotoamatore. Aveva 25 anni e frequentava il Circolo Fotografico di Milano, culla di aggiornamento, dibattito e confronto che permetteva agli aspiranti fotografi di conoscere stili e poetiche fotografiche dalla scena nazionale e internazionale.
Nell’ambito della “nuova fotografia italiana”, di cui facevano parte molti dei fotografi che hanno collaborato stabilmente con il Touring Club, Merisio si distinse fin da subito per immagini che erano sì tese all’indagine sociologica, ma senza per questo diventare mai un neorealista puro.
Così lo ricorda Italo Zannier, nel volume del 1995 “I fotografi del Touring”, a proposito di questa sua cifra stilistica: “La sua ideologia rimase sempre serena, orientata dall’ottimismo, mai selvaggiamente speculativa del dolore, della miseria, che pure in Italia esisteva e che i fotografi avevano in qualche modo rivelato, indagando laddove mai prima era stato indirizzato un obiettivo. Quello di Merisio ha cercato di essere il più possibile gratificante, rivelatore di bellezze ma anche di malinconie”.
E in queste parole sta racchiusa la cifra più caratteristica dei suoi scatti, compresi quelli che conserviamo in Archivio e legati alle pubblicazioni del Touring. ù
Scatti di un “fotografo lento”, spesso dedicati alla terra, alla campagna. Fotografie di uomini, alberi, paesaggi. Fotografie di campagna, di mani che lavorano, di terra, di tradizioni. Soggetti che Merisio ha inscritti nel suo dna, che raccontano della sua Bergamo e della campagna circostante. Soggetti cari anche ad un altro bergamasco destinato a raccontare di quel mondo in estinzione, Ermanno Olmi, che da alcuni scatti di Merisio trasse l’ispirazione per il suo “L’albero degli zoccoli”.
Questa civiltà contadina in estinzione, destinata ad essere sorpassata dal rapido evolversi industriale e sociale di un’Italia in corsa, è quello che Merisio ha sempre voluto immortalare, ovunque si trovasse, cercando frammenti intatti di questa vita antica, spazi liberi in cui poter ritrovare – anche nella dimensione urbana – questa cifra intatta da lui così amata.
Lo raccontano bene anche gli scatti realizzati per il Touring Club, che fanno parte – insieme alle migliaia di altre fotografie di grandi nomi della fotografia italiana e di fotografi meno noti – di quel ritratto d’Italia mai patinato ed edulcorato, ma sempre orientato da un fine etico e civile ben preciso, con cui il Touring ha educato intere generazioni alla bellezza e al rispetto e alla conoscenza del nostro territorio.
Ricordiamo, in particolare, le collaborazioni di Merisio per alcuni volumi della collana “Attraverso l’Italia”, una collana di volumi in tre serie distinte pubblicata dal 1930 agli anni Novanta. Soprattutto per quanto riguarda la prima e la seconda serie, per molti anni le fotografie contenute in questi volumi sono state, per molte generazioni di lettori, l’Italia tout court.
Un’Italia fotografata in modo molto diverso rispetto alle istantanee fisse, alle vuote panoramiche monumentali e alle scene di genere tipizzate tipiche della fotografia di fine Ottocento e inizio Novecento.
Le nuove fotografie volute dal Touring per questi volumi danno, piuttosto, l’impressione di trovarsi sul posto in cui sono state scattate, di essere “prese in corsa”. Sono, a tutti gli effetti, un invito a visitare, viaggiare e fotografare, senza mai scadere nella visione stereotipata – da cartolina – che il Touring ha voluto sempre evitare, in tutta la sua produzione editoriale.
A questa volontà, a questa cifra rispondono anche gli scatti di Pepi Merisio, che collabora in particolare ad alcuni volumi della collana: Veneto, 1964; Toscana, 1966; Lazio, 1967; Umbria, 1969; Liguria, 1969; Abruzzo e Molise, 1970.
Con la stessa sintonia di intenti, Merisio ha collaborato poi ad alcuni volumi della collana “Conosci l’Italia”, con i volumi dedicati alla Flora e alla Fauna (1959) e al Folklore,tradizioni, vita e arti popolari (1967); ad alcuni volumi della collana “Italia meravigliosa” e, infine, alla collana “Capire l’Italia”, in particolare con i volumi Paesaggi umani (1977); Le città (1978); Il patrimonio storico-artistico (1979); I musei (1980); Campagna e industria (1981).
Così lo saluta Michele Smargiassi, critico fotografico per “La Repubblica” (03/02/2021) e ne prendiamo in prestito le parole:
“Alla cifra eroica preferiva il senso della storia lunga, che un dramma ce l’ha, ma è nascosto nei gesti quotidiani. Guardava il mondo con occhi da bambino”
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